Sono la matrice.
Al di là dell'Inconscio sono la creazione stessa. Sfuggo a
qualsiasi definizione.
So che mi hanno adorata. Da quando gli esseri umani hanno
sviluppato una scintilla di Coscienza, mi hanno identificato con
essa. Come un cuore d'argento perfetto, illuminavo le tenebre
della notte. Ero la luce che secondo il loro vago sospetto
regnava nel profondo delle anime cieche. Mi ero tuffata in tutte
le oscurità dell'universo. Là dove le entità avide guatavano la
più piccola scintilla di Coscienza, dimensioni di follia, di
solitudine assoluta, di delirio gelido, di quel silenzio doloroso
che si chiama Poesia, ho dovuto riconoscere che per esistere
dovevo andare là dove non c'ero.
Sono caduta dentro me stessa, sempre più giù. Mi perdevo
scendendo verso nessun luogo finché alla fine "lo", la oscura, ho
cessato di esistere. O meglio, ero una concavità infinita, una
bocca spalancata che conteneva tutta la sete del mondo. Una
vagina senza limiti divenuta aspirazione totale.
Allora, in questa vacuità, in questa assenza di contorni,
finalmente ho potuto riflettere la totalità della luce. Una luce
ardente che ho trasformato nel suo freddo riflesso, non la luce
che genera bensì la luce che illumina.
Non insemino, indico soltanto. Chi riceve la mia luce sa
quello che è, niente di più. È più che sufficiente. Per diventare
ricezione totale, ho dovuto rifiutarmi di dare. Nella notte,
qualunque forma rigida viene annichilita dalla mia luce, a
cominciare dal cuore.
Al mio chiarore, l'angelo è angelo, la belva è belva, il
pazzo è pazzo, il santo è santo.
Sono
lo specchio universale, chiunque può vedersi in
me.