Particolarmente toccante - ed allo stesso tempo paradigmatico
rispetto alla
lettura che Pansa propone di quest'orgia di violenza - è il caso
di Giorgio
Morelli, ventunenne partigiano cattolico delle Fiamme Verdi, nome
di battaglia
"il Solitario". Entrato a Reggio Emilia a cavallo di una
bicicletta prestagli
dal fratello di quello che diverrà famoso come don Giuseppe
Dossetti, il 24
aprile 1945 per primo vi aveva issato il tricolore sul municipio
della città
liberata. Testimone della misteriosa scomparsa del un suo amico
Mario
Simonazzi, popolare comandante non comunista di una formazione
partigiana,
trovato assassinato in circostanze mai chiarite, e di una serie
di altre
violenze ed omicidi, Morelli anima un piccolo giornale, "La
Penna", attraverso
il quale denuncia abusi e crimini perpetrati dagli ex compagni di
lotta legati
al Pci.
Vittima a propria volta di un agguato, morirà a seguito alle
ferite riportate,
non senza aver manifestato la propria sfida e la propria
integrità sino
all'ultimo, indossando in pubblico il cappotto che aveva al
momento
dell'attentato subito, i fori dei proiettili che lo avrebbero
condotto alla
tomba ben in vista. Fra gli altri omicidi eccellenti successivi
alla
Liberazione attribuiti al Pci di "nemici di classe" o avversari
politici,
riportati nel libro, vi sono quelli di Don Umberto Pessina di
Correggio, del
sindaco socialista di Casalgrande, Umberto Farri, dell'avvocato
liberale e
antifascista reggiano Ferdinando Ferioli, figlio dell'ultimo
sindaco
democratico di Sassuolo Aristide Ferioli, ucciso dai fascisti nel
1944,
dell'ingegnere Arnaldo Vischi, direttore generale delle Officine
Meccaniche
Reggiane dopo la Liberazione con il gradimento del CLN.