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Certe volte, quando piove

 

Si sono placati troppo presto i saturnali della pioggia, l'acqua ha lucidato le strade ma non i pensieri, dentro – in fondo al cuore - la siccità dura ancora, e del resto non ci sono grandi speranze che si attenui neanche di fuori, questa è solo una tregua, attendo arsure di più lunga durata e non solo per colpa della meteorologia.


Lo vedi, non sei riuscita neanche tu a disperdere la nuvolaglia dai miei orizzonti; è vero che non ne hai avuto il tempo, ma credo che anche se te ne fosse stato concesso di più non sarebbe ugualmente  bastato, in fondo stiamo continuando la stessa discussione di sempre, per quanto il tuo aver varcato il limine mortis costringa i miei silenzi a riempire i tuoi.


C’è saggezza nella pioggia, ma tu eri donna troppo solare per sospettarlo – e se uso questo aggettivo detestato è solo perché associarlo al tuo nome ne ristabilisce l’etimo – tu che del sole avevi l’irruenza della vampa, la nettezza delle illuminazioni, l’impietosa lucidità che stinge i riflessi più tenui, e questo non poteva non tenermi a distanza, ché luminoso era anche il tuo parlare ed io troppo parco di parole dirette, trincerato nei miei disincanti, circondato dai cavalli di frisia del “quasi” e del “come se”: abituato a vivere di sottrazioni, a infilarmi nelle pieghe del sottaciuto o del soltanto accennato, non potevo che osservarti da una meravigliata distanza.


Una distanza perplessa, dubitosa, un prendere la rincorsa senza decidersi a saltare, ma pur sempre distanza; e piccola, anche: ma il tempo per colmarla si era esaurito, disseccato come le nuvole sterili di questi mesi.

Ci sarebbe voluta la pioggia anche allora, quando piove mi estèmporo, come se (ecco, di nuovo) le mie parole potessero senza pericolo scivolare via insieme all’acqua, quasi fosse possibile, volendo, asciugarle o scuotersele di dosso come i cani, una scrollata e via, ma non piove quasi più, quest’anno è stato avaro anche di temporali. 

 

Dall’ultimo appuntamento a un indomani che non è arrivato, il tempo ha iniziato ad espandersi. In realtà ha solamente ripreso il suo scorrere solito dopo che le sentenze della medicina lo avevano rallentato oltre misura, schiacciando in ogni secondo disponibile tutti quelli che facevano ressa presso un orizzonte che non avremmo raggiunto: tempo compresso la cui densità gravava sul cuore e contro cui la ragione inutilmente dispiegava le sue astuzie, a soppesare le speranze di rovesciar la clessidra ancora una volta, troppo esile il mucchietto di sabbia rimasto sul fondo per quanto pesante sia stato ciascun granello.

 

Ma è un attimo: già i ricordi si attenuano, come le nuvole vanno perdendo la loro marezzatura di nero per stemperarsi in un grigio uniforme, dove è più facile perdersi; d’altra parte il ricordo è un sogno consapevole, per questo è meno duro ricordare.

 

Presto sgomberato il cielo, la notte tornerà a franare in un acciottolio di stelle.

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