E' rossastra la tua luna questa
sera,
pur velata da timide nubi, non nasconde la sua ira,
fatta di angosce, pianti e frustrazioni mai sopite,
che come sale, alimentano la pena delle sue ferite.
"Perchè - stridula voce si perde nel vuoto della notte -
perchè non posso essere stella, perchè non posso anche io
brillare
e della mia propria luce ogni cosa illuminare?
Ma non sono forse io colei che agita le maree,
riscalda il cuore degli innamorati,
fa incetta di anime afflitte, che al mio cospetto presentano il
conto dei propri errori
e riempie di magia le penne dei poeti?
I miei mari sono colmi delle lacrime mortali,
i miei monti sono i voli per sempre appesi dei cuori affranti e
di quelli traditi.
Ma il mio, di cuore, è colmo di tutto quel calore
che la vanità umana osa disperdere
senza mai apprezzarne veramente il valore.
Quanta luce saprei sprigionare,
quanti angoli bui saprei illuminare,
penetrando fin nelle pieghe più nascoste dell'anima.
Ahimè inascoltato rimarrà il mio pianto, vana sarà ogni mia
preghiera,
e mi accontenterò di rifulgere nella luce dimessa dei cuori
che il mio calore cercheranno, la mia purezza brameranno ed in me
si specchieranno,
sognando di salire fin quassù, dondolando sulle mie punte,
a guardare quanto piccola ed insignificante è la vanità
umana."
Così in silenzio, ascolti il pianto della luna,
e ti crucci, perchè nel suo candor stasera volevi rinascere,
regina.
Ma non ti accorgi, mia dolce e fragile creatura,
che le sue lacrime, bianche come la neve e leggere come il
vento,
sfiorano appena il tuo bel viso, che punta deciso lassù in
alto,
purificano la tua anima e diradano il tuo sgomento,
cosicché ora nasce amore, là dove prima sgorgava il
pianto.