Immaginate. C’è un mondo dove la gente lascia
acceso il computer anche quando ha smesso di lavorare, dove
spostare il mouse su start e cliccare su «chiudi sessione» è una
fatica bestiale. C’è un mondo dove i dirigenti usano la
fotocopiatrice dell’ufficio per riprodurre le cinquecento pagine
del libro di scuola del figlio. C’è un mondo dove quando ci si
ammala si fa di tutto per non guarire, solo per stare a casa, senza
lavorare, il più a lungo possibile. Questo mondo non si trova da
qualche parte nella costellazione del cigno o sul pianeta Urania,
ma è in mezzo a noi, si confonde con noi e qualche volta
interagisce perfino con le nostre banali forme di vita. Questo
pianeta ha vari nomi: ministero, regione, provincia, comune,
parastato, Inps, agenzia delle entrate, e così via, fino al più
generico pubblica amministrazione. Gli antichi lo chiamavano, con
la solita sintesi, il mondo dei travet. Eccolo.
Le città dei travet sembrano luoghi piuttosto
bislacchi. Chi lavora da queste parti, dove tutto è pubblico, con
muri carichi di scartoffie, carta su carta, deve aver ereditato
strane abitudini. A metà mattina s’incontrano per una
chiacchierata, scivolano fuori dagli uffici e si ritrovano in un
punto preciso, qualcosa di simile alle vecchie piazze di paese.
Solo che qui non ci sono bar o monumenti, ma macchinette del caffè,
merendine, succhi di frutta alla papaya fuori mercato dalle
olimpiadi di Los Angeles, fermenti lattici surgelati, girelle anni
’80 e bevande calde al gusto di tè. Il rito si ripete tre-quattro
volte al giorno, dura almeno mezz’ora e dicono che sia normale. Si
racconta che questa vecchia abitudine sia garantita da una carta
costituzionale persa secoli fa in qualche archivio leggendario.
Qualcuno sostiene che sia stata scritta prima dello Statuto
Albertino. Fatto sta che da allora il diritto al caffè lungo è la
libertà inviolabile della città dei travet. La madre di tutte le
libertà. È da lì che nasce una sorta di mondo alla rovescia. I
travet non conoscono il concetto di risparmio, amano sparlare dei
loro colleghi, sono in guerra da sempre con un fantomatico popolo
che loro chiamano «gli utenti» e con cui ingaggiano furibonde lotte
a colpi di sportelli chiusi. L’arma segreta dei travet è una lingua
alchemica, il burocratese, con cui riescono a disorientare i
nemici, tanto da renderli tutti deficienti. I travet sono maestri
nell’arte dell’immaginazione, inventano storie mirabolanti per
giustificare ritardi e inefficenze. I più fantasiosi fanno
carriera. Le città sono organizzate per caste chiuse. I capi, sorta
di sacerdoti-sciamani del fannullismo, sono conosciuti con il nome
di dirigenti.