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IlSignorTravet

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Mi descrivo

Un uomo semplice.

Su di me

Situazione sentimentale

-

Lingue conosciute

Francese

I miei pregi

^__^

I miei difetti

^__^

Amo & Odio

Tre cose che amo

  1. La nutella
  2. La pizza
  3. La musica

Tre cose che odio

  1. Nulla
  2. Niente
  3. Nessuno

I miei interessi

Vacanze Ok!

  • Crociera

Vacanze Ko!

  • Campeggio
  • Passioni

    • Musica

    Musica

    • Pop

    Cucina

    • Piatti italiani

    Sport

    • Calcio e calcetto

    Meta dei sogni

    capitali europee

    Immaginate. C’è un mondo dove la gente lascia acceso il computer anche quando ha smesso di lavorare, dove spostare il mouse su start e cliccare su «chiudi sessione» è una fatica bestiale. C’è un mondo dove i dirigenti usano la fotocopiatrice dell’ufficio per riprodurre le cinquecento pagine del libro di scuola del figlio. C’è un mondo dove quando ci si ammala si fa di tutto per non guarire, solo per stare a casa, senza lavorare, il più a lungo possibile. Questo mondo non si trova da qualche parte nella costellazione del cigno o sul pianeta Urania, ma è in mezzo a noi, si confonde con noi e qualche volta interagisce perfino con le nostre banali forme di vita. Questo pianeta ha vari nomi: ministero, regione, provincia, comune, parastato, Inps, agenzia delle entrate, e così via, fino al più generico pubblica amministrazione. Gli antichi lo chiamavano, con la solita sintesi, il mondo dei travet. Eccolo.

    Le città dei travet sembrano luoghi piuttosto bislacchi. Chi lavora da queste parti, dove tutto è pubblico, con muri carichi di scartoffie, carta su carta, deve aver ereditato strane abitudini. A metà mattina s’incontrano per una chiacchierata, scivolano fuori dagli uffici e si ritrovano in un punto preciso, qualcosa di simile alle vecchie piazze di paese. Solo che qui non ci sono bar o monumenti, ma macchinette del caffè, merendine, succhi di frutta alla papaya fuori mercato dalle olimpiadi di Los Angeles, fermenti lattici surgelati, girelle anni ’80 e bevande calde al gusto di tè. Il rito si ripete tre-quattro volte al giorno, dura almeno mezz’ora e dicono che sia normale. Si racconta che questa vecchia abitudine sia garantita da una carta costituzionale persa secoli fa in qualche archivio leggendario. Qualcuno sostiene che sia stata scritta prima dello Statuto Albertino. Fatto sta che da allora il diritto al caffè lungo è la libertà inviolabile della città dei travet. La madre di tutte le libertà. È da lì che nasce una sorta di mondo alla rovescia. I travet non conoscono il concetto di risparmio, amano sparlare dei loro colleghi, sono in guerra da sempre con un fantomatico popolo che loro chiamano «gli utenti» e con cui ingaggiano furibonde lotte a colpi di sportelli chiusi. L’arma segreta dei travet è una lingua alchemica, il burocratese, con cui riescono a disorientare i nemici, tanto da renderli tutti deficienti. I travet sono maestri nell’arte dell’immaginazione, inventano storie mirabolanti per giustificare ritardi e inefficenze. I più fantasiosi fanno carriera. Le città sono organizzate per caste chiuse. I capi, sorta di sacerdoti-sciamani del fannullismo, sono conosciuti con il nome di dirigenti.
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