Io sono antica, dicevo a un amico qualche giorno fa, senza
riuscire a spiegargli in quel momento in che senso lo intendessi.
Non è l’identificarsi col tradizionalista, perché la mia è anche
accoglienza del nuovo, non è avversione indiscriminata al
progresso, perché in fondo di questo faccio uso.
Ma è il modo di rapportarmi a tutto questo che mi fa antica.
Perché il mio concetto di tempo è un concetto recuperato
dall’antico.
Darsi tempo, principalmente, non lasciarsi mangiare e consumare
dalle cose.
Questa è un’epoca che fagocita tutto senza dichiararlo
apertamente. Io rifiuto di essere fagocitata dal superfluo che
sembra diventato oggigiorno la necessità, la priorità, la
norma.
Essere antichi, per come lo intendo io, significa privilegiare la
qualità della vita rispetto alla quantità indifferenziata
dell’abbondanza.
Qualità significa conoscere, consumare senza spreco, non
abbuffarsi né di oggetti né di cibo. Saper scegliere le cose di
cui abbiamo veramente bisogno, senza sottometterci alle mode,
all’usa e getta che altro scopo non ha se non quello di favorire
l’ennesimo ricambio di quanto si produce, nell’ottica di un
eterno temporaneo consumo, di una sempre accresciuta produzione,
e per contro, di un costante aumento nello svilimento e
sfruttamento della manodopera impiegata in paesi resi sempre più
poveri.
Mi sento antica perché voglio assaporare, gustare la genuinità e
non mi accontento della sua rappresentazione puramente virtuale.
Perché conosco quel che la mia terra produce di buono e so dargli
valore.
Antico è il mio bisogno di affidarmi a un’educazione fondamentale
su quanto mi è utile oltre che piacevole.
Antico è il rifiuto all’omologazione propugnata e diffusa da
discutibili modelli, da discutibilissimi linguaggi e personaggi
dei mass media.
Antico è anche il tempo selezionato, e perciò ridotto, dedicato a
queste attività, perché è tempo usato contro il tempo che ci è
dato per vivere.
Significa, essere antica, anche uscirsene senza portarsi
necessariamente il cellulare, senza essere per forza collegati e
rintracciabili da chiunque ed in qualunque posto, in qualsiasi
momento, non piegarsi all’insensata necessità di controllare 300
volte al giorno il telefonino o di lasciarlo come un bicchiere,
un piatto, accanto a te sul tavolo del bar o del ristorante.
Antico è ritagliarsi uno spazio privato, difenderlo e arricchirlo
di interessi che ti gratificano perché ti formano.
Antico è camminare e mantenere il corpo in attività, è posare lo
sguardo sempre fresco e nuovo su oggetti e persone vedendole e
ascoltandole con partecipazione.
Significa saper distinguere i profumi, riconoscere i fiori, gli
alberi, i venti, il valore di ogni singola parola, di ogni atto
disinteressato d’amicizia.
È l’amore del bello naturale, dei veri colori di un tramonto, ad
esempio, di per sé già qualcosa di insostituibile e
irrecuperabile.
Di uomini e donne che fanno un uso discreto della loro bellezza e
un uso quotidiano e naturale della loro gentilezza.
Quest’antico è rivoluzionario, è ancora il no del ribelle di
Camus, è memoria che non sbiadisce con un colpo di spugna, è il
no al signorsì nei confronti del progresso consumistico e
omologante che si è impadronito già delle vite e principalmente
delle vite di oggi.
E non deve spaventare questa solitudine. La solitudine di
trovarsi nella direzione opposta a quella imperante. Che sia
questo il sensato, il reale e l’umanissimo progresso.